Intervista ad Angela Nava, presidente nazionale del Coordinamento Genitori Democratici
Bambini nativi digitali e
genitori immigrati digitali: in che modo cambia, cambierà o è già cambiato il
modo di educare?
Quello
che vediamo è la naturalità e la precocità dei nostri bambini nell’uso delle
nuove tecnologie, il mutare dei modi di apprendimento che avvengono non più per
assorbimento, ma per tentativi, per esperienza.
Quello
che registriamo è il cambiamento progressivo di un lessico che afferisce alle
relazioni e alle emozioni. Chiunque frequenti facebook o altri social network
vede il nuovo significato che assumono termini a noi noti da sempre: la vita
diviene rappresentazione di sé, un fatto diviene reale quando è certificato
virtualmente, il diario un blog che è destinato ad uso pubblico, condividere
non implica più alcuna empatia, l’amicizia si concede e non si costruisce: io
sono il mio wall e costruisco in modo diverso la mia identità.
Il genitore oscilla spesso tra un narcisistico
compiacimento per le attitudini tecnologiche (troppo spesso scambiate per
competenze!) dei figli e la preoccupazione per la propria incapacità di
esercitare il controllo sulle attività dei figli stessi. Il che si traduce
spesso nell’oscillare tra un atteggiamento permissivo ( in fondo l’uso del pc sottrae i figli dal pericolo
della strada e frequentemente ha una comoda funzione di baby-sitting) ed uno
punitivo. Entrambi perdenti.
L’educazione si
colloca e riguarda ciò che accade TRA
i media e i soggetti: è quella zona
intermedia fatta di investimenti e di negoziazioni a costituire lo spazio
principale dell’intervento educativo da cui passa la costruzione del pensiero
critico e dell’uso responsabile. Allora il problema è: in che misura riusciamo
a costruire un vocabolario comune di simboli, immagini, passioni? Come
riusciamo a “comunicare” (nel senso di mettere in comune) tra generazioni
diverse linguaggi, regole, valori?
Non esiste alcuna biblioteca di Alessandria cui attingere
norme, decaloghi di comportamento, modelli di formazione. Non perché essi
manchino: nel nostro paese c’è anzi un proliferare di buone pratiche di
formazione rivolte ai più giovani e non solo, di modelli imprenditoriali
virtuosi, di organismi istituzionali di controllo. Manca però una strategia
complessiva che sappia fare sistema per poter produrre dei cambiamenti
significativi sui comportamenti e sulle modalità di utilizzo delle tecnologie
da parte dei più giovani.
Siamo collocati in
un contesto di “frontiera” e dobbiamo lavorare sul confine.
Lavorare sul
confine significa operare attraverso modelli di progettualità condivisa con gli
altri soggetti “confinanti”: costruire progetti comuni, più che proporre o imporre il proprio progetto; attivare risorse
condivise; lavorare in rete, nel senso di valorizzare le risorse che esistono
sforzandosi di metterle “ a sistema”; integrare i linguaggi e le metodologie; condividere
le responsabilità.
Non possiamo sottrarci alla responsabilità: individuale e collettiva.
Molti
genitori sono preoccupati della sicurezza dei loro bambini su internet. Quali
sono i pericoli? Cosa possono fare i genitori?
Esistono dei rischi concreti per i più giovani,
come quello di isolarsi dal mondo reale e rinchiudersi in una sorta di “nicchia
mediatica” o navigando imbattersi in contenuti falsi e mistificatori o essere
influenzati da valori e modelli di comportamento inadeguati o dannosi,
diventare vittime di cyber bullismo o essere adescati da adulti potenziali
abusanti.
Anche in questi casi non dovrebbe prevalere l’ansia.
La preoccupazione può e deve trasformarsi in voglia di occuparsi del problema superando
la scarsa conoscenza che a volte si ha
dei nuovi media. Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a non ricevere
passivamente informazioni, ma a decodificare i messaggi che vengono proposti
quotidianamente e metterli confronto con le proprie opinioni e i propri valori.
Anche l’utilizzo dei filtri (di cui per la verità
pochi sono a conoscenza) non deve tradire un’eccessiva ansia di controllo. Ad
essi non vanno delegate le funzioni e le responsabilità genitoriali.
E’ un passaggio epocale, ma per i passaggi epocali non ci sono ricette,
ma sfide di pensiero e paziente sperimentazione: l’approccio moralistico al
problema spesso nasconde la nostra impotenza a governare non solo i fenomeni
sociali, ma perfino, più semplicemente le nostre vite.
Ritiene
che una maggiore collaborazione tra genitori e insegnanti sia necessaria per
accompagnare i bambini nel loro percorso di crescita all'interno del nuovo
mondo digitale?
E’ fondamentale. Ma non basta invocarla come petizione di principio che
ci mette a posto la coscienza.
E’ necessario che gli educatori (e intendo in questo caso genitori e
docenti) abbiano chiara la consapevolezza che da soli non ce la si fa e non
serve più la delega alla famiglia da parte della scuola o quella dei genitori
ai docenti in un rimpallo di responsabilità improduttivo.
Bisogna che si mettano in campo progetti condivisi che abbiano nella
scuola il cuore pulsante: perché la scuola rimane oggi l’unico luogo reale e
non virtuale di incontro di generazioni diverse: un bene relazionale di
inestimabile valore.
Nessun commento:
Posta un commento