lunedì 21 maggio 2012

Rivoluzione digitale: come evolve il rapporto tra nativi digitali, genitori e insegnanti?

di Ludovica Tartaglione




Intervista ad Angela Nava, presidente nazionale del Coordinamento Genitori Democratici


Bambini nativi digitali e genitori immigrati digitali: in che modo cambia, cambierà o è già cambiato il modo di educare?

Quello che vediamo è la naturalità e la precocità dei nostri bambini nell’uso delle nuove tecnologie, il mutare dei modi di apprendimento che avvengono non più per assorbimento, ma per tentativi, per esperienza.

Quello che registriamo è il cambiamento progressivo di un lessico che afferisce alle relazioni e alle emozioni. Chiunque frequenti facebook o altri social network vede il nuovo significato che assumono termini a noi noti da sempre: la vita diviene rappresentazione di sé, un fatto diviene reale quando è certificato virtualmente, il diario un blog che è destinato ad uso pubblico, condividere non implica più alcuna empatia, l’amicizia si concede e non si costruisce: io sono il mio wall e costruisco in modo diverso la mia identità.

Il genitore oscilla spesso tra un narcisistico compiacimento per le attitudini tecnologiche (troppo spesso scambiate per competenze!) dei figli e la preoccupazione per la propria incapacità di esercitare il controllo sulle attività dei figli stessi. Il che si traduce spesso nell’oscillare tra un atteggiamento permissivo ( in fondo  l’uso del pc sottrae i figli dal pericolo della strada e frequentemente ha una comoda funzione di baby-sitting) ed uno punitivo. Entrambi perdenti.

L’educazione si colloca e riguarda ciò che accade TRA i media e i soggetti: è quella  zona intermedia fatta di investimenti e di negoziazioni a costituire lo spazio principale dell’intervento educativo da cui passa la costruzione del pensiero critico e dell’uso responsabile. Allora il problema è: in che misura riusciamo a costruire un vocabolario comune di simboli, immagini, passioni? Come riusciamo a “comunicare” (nel senso di mettere in comune) tra generazioni diverse linguaggi, regole, valori?

Non esiste alcuna biblioteca di Alessandria cui attingere norme, decaloghi di comportamento, modelli di formazione. Non perché essi manchino: nel nostro paese c’è anzi un proliferare di buone pratiche di formazione rivolte ai più giovani e non solo, di modelli imprenditoriali virtuosi, di organismi istituzionali di controllo. Manca però una strategia complessiva che sappia fare sistema per poter produrre dei cambiamenti significativi sui comportamenti e sulle modalità di utilizzo delle tecnologie da parte dei più giovani.

Siamo collocati in un contesto di “frontiera” e dobbiamo lavorare sul confine.
Lavorare sul confine significa operare attraverso modelli di progettualità condivisa con gli altri soggetti “confinanti”: costruire progetti comuni, più che proporre o  imporre il proprio progetto; attivare risorse condivise; lavorare in rete, nel senso di valorizzare le risorse che esistono sforzandosi di metterle “ a sistema”; integrare i linguaggi e le metodologie; condividere le responsabilità.
Non possiamo sottrarci alla responsabilità: individuale e collettiva.


Molti genitori sono preoccupati della sicurezza dei loro bambini su internet. Quali sono i pericoli? Cosa possono fare i genitori?

Esistono dei rischi concreti per i più giovani, come quello di isolarsi dal mondo reale e rinchiudersi in una sorta di “nicchia mediatica” o navigando imbattersi in contenuti falsi e mistificatori o essere influenzati da valori e modelli di comportamento inadeguati o dannosi, diventare vittime di cyber bullismo o essere adescati da adulti potenziali abusanti.

Anche in questi casi non dovrebbe prevalere l’ansia. La preoccupazione può e deve trasformarsi  in voglia di occuparsi del problema superando la scarsa conoscenza che a volte si ha  dei nuovi media. Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a non ricevere passivamente informazioni, ma a decodificare i messaggi che vengono proposti quotidianamente e metterli confronto con le proprie opinioni e i propri valori.

Anche l’utilizzo dei filtri (di cui per la verità pochi sono a conoscenza) non deve tradire un’eccessiva ansia di controllo. Ad essi non vanno delegate le funzioni e le responsabilità genitoriali.

E’ un passaggio epocale, ma  per i passaggi epocali non ci sono ricette, ma sfide di pensiero e paziente sperimentazione: l’approccio moralistico al problema spesso nasconde la nostra impotenza a governare non solo i fenomeni sociali, ma perfino, più semplicemente le nostre vite. 

Ritiene che una maggiore collaborazione tra genitori e insegnanti sia necessaria per accompagnare i bambini nel loro percorso di crescita all'interno del nuovo mondo digitale?

E’ fondamentale. Ma non basta invocarla come petizione di principio che ci mette a posto la coscienza.
E’ necessario che gli educatori (e intendo in questo caso genitori e docenti) abbiano chiara la consapevolezza che da soli non ce la si fa e non serve più la delega alla famiglia da parte della scuola o quella dei genitori ai docenti in un rimpallo di responsabilità improduttivo.

Bisogna che si mettano in campo progetti condivisi che abbiano nella scuola il cuore pulsante: perché la scuola rimane oggi l’unico luogo reale e non virtuale di incontro di generazioni diverse: un bene relazionale di inestimabile valore.

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