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mercoledì 23 maggio 2012

La rivoluzione digitale nelle scuole della capitale

Intervista a Sabrina Alfonsi, Responsabile Scuola PD di Roma

La nostra società è profondamente cambiata negli ultimi 20 anni. La rivoluzione digitale ha modificato il modo di apprendere e di informarsi. La scuola, però, è la stessa di sempre. Perché? Quali sono le maggiori resistenze al cambiamento?

La scuola italiana è sempre stata anticipatrice e promotrice dei cambiamenti storico- culturali e sociali che l'Italia ha avuto fin dalla sua nascita.

Nel caso della rivoluzione digitale invece la scuola rincorre faticosamente una società in continua evoluzione e un diverso modo di apprendere, al di fuori della scuola, dei ragazzi di oggi.

Oltre a qualche resistenza da parte del corpo docente, timoroso di perdere il proprio ruolo di educatore, il sistema scolastico non ha saputo adattarsi alla rivoluzione digitale un po' per limiti strutturali, un po' per carenza di risorse e investimenti nelle nuove tecnologie nel settore della scuola.

Inoltre, bisogna tenere conto che i docenti essendo immigrati digitali, in quanto cresciuti in un mondo privo di tecnologie, hanno più difficoltà a percepire l'utilizzo delle nuove tecnologie come utile strumento per insegnare e far ragionare i ragazzi.

Peraltro i ragazzi di oggi, i nativi digitali, hanno sviluppato un diverso modo di apprendere e di vedere la realtà rispetto al metodo tradizionale su cui si basano i programmi scolastici. Questo crea un ostacolo allo sviluppo di un nuovo modo di apprendere degli alunni. Questo ostacolo si può superare solo con investimenti nelle nuove tecnologie (reti, internet, Lim) nelle scuole del paese. Nel breve periodo, visto la carenza di risorse e la situazione delle scuole è necessario utilizzare a pieno i fondi europei realizzando progetti pilota in alcune aree del Paese.

In che modo il Pd Roma si sta attivando per venire incontro alle nuove esigenze della didattica e dei cosiddetti nativi digitali?

Il pd di Roma sia a livello territoriale che a livello istituzionale favorisce e promuove progetti volti alla diffusione delle nuove tecnologie nelle scuole di Roma. In passato vi sono state collaborazioni con enti e Fondazioni del settore.

Con i tagli imposti dal Ministro Gelmini questi progetti sono diminuiti e le iniziative sorte per favorire l'avvento delle nuove tecnologie nella scuola si è fermato. Negli ultimi tempi vi sono tentativi di ripartenza anche grazie a un attenzione maggiore da parte del ministero e del Ue ai nativi digitali.

Come Responsabile Pd Scuola di Roma, in che modo e in che misura valuta le performance delle scuole romane nel loro rapporto con i nativi digitali?

Vi sono alcune punte di eccellenza. Peró non vi è mai stato un programma in grado di favorire la digitalizzazione delle scuole e non vi è mai stata una sperimentazione, su larga scala, di nuovi modi di apprendimento.

Per questo si può dire che la performance delle scuole romane nel rapporto con i nativi digitali è piuttosto basso. Per migliorare servirebbe un cambio di rotta: ovvero effettuare investimenti nel settore, ad oggi sono possibili solo sperimentazioni e progetti mirati.

E' necessario sviluppare una scuola più moderna, che pur mantenendo le sue caratteristiche di fondo si adatta alle nuove tecnologie e al modo di pensare e di apprendere fuori dagli edifici scolastici dei ragazzi di oggi, come obiettivo prioritario per la crescita e il futuro dell' Italia.

di Andrea Rollin e Ludovica Tartaglione

lunedì 21 maggio 2012

Rivoluzione digitale: come evolve il rapporto tra nativi digitali, genitori e insegnanti?

di Ludovica Tartaglione




Intervista ad Angela Nava, presidente nazionale del Coordinamento Genitori Democratici


Bambini nativi digitali e genitori immigrati digitali: in che modo cambia, cambierà o è già cambiato il modo di educare?

Quello che vediamo è la naturalità e la precocità dei nostri bambini nell’uso delle nuove tecnologie, il mutare dei modi di apprendimento che avvengono non più per assorbimento, ma per tentativi, per esperienza.

Quello che registriamo è il cambiamento progressivo di un lessico che afferisce alle relazioni e alle emozioni. Chiunque frequenti facebook o altri social network vede il nuovo significato che assumono termini a noi noti da sempre: la vita diviene rappresentazione di sé, un fatto diviene reale quando è certificato virtualmente, il diario un blog che è destinato ad uso pubblico, condividere non implica più alcuna empatia, l’amicizia si concede e non si costruisce: io sono il mio wall e costruisco in modo diverso la mia identità.

Il genitore oscilla spesso tra un narcisistico compiacimento per le attitudini tecnologiche (troppo spesso scambiate per competenze!) dei figli e la preoccupazione per la propria incapacità di esercitare il controllo sulle attività dei figli stessi. Il che si traduce spesso nell’oscillare tra un atteggiamento permissivo ( in fondo  l’uso del pc sottrae i figli dal pericolo della strada e frequentemente ha una comoda funzione di baby-sitting) ed uno punitivo. Entrambi perdenti.

L’educazione si colloca e riguarda ciò che accade TRA i media e i soggetti: è quella  zona intermedia fatta di investimenti e di negoziazioni a costituire lo spazio principale dell’intervento educativo da cui passa la costruzione del pensiero critico e dell’uso responsabile. Allora il problema è: in che misura riusciamo a costruire un vocabolario comune di simboli, immagini, passioni? Come riusciamo a “comunicare” (nel senso di mettere in comune) tra generazioni diverse linguaggi, regole, valori?

Non esiste alcuna biblioteca di Alessandria cui attingere norme, decaloghi di comportamento, modelli di formazione. Non perché essi manchino: nel nostro paese c’è anzi un proliferare di buone pratiche di formazione rivolte ai più giovani e non solo, di modelli imprenditoriali virtuosi, di organismi istituzionali di controllo. Manca però una strategia complessiva che sappia fare sistema per poter produrre dei cambiamenti significativi sui comportamenti e sulle modalità di utilizzo delle tecnologie da parte dei più giovani.

Siamo collocati in un contesto di “frontiera” e dobbiamo lavorare sul confine.
Lavorare sul confine significa operare attraverso modelli di progettualità condivisa con gli altri soggetti “confinanti”: costruire progetti comuni, più che proporre o  imporre il proprio progetto; attivare risorse condivise; lavorare in rete, nel senso di valorizzare le risorse che esistono sforzandosi di metterle “ a sistema”; integrare i linguaggi e le metodologie; condividere le responsabilità.
Non possiamo sottrarci alla responsabilità: individuale e collettiva.


Molti genitori sono preoccupati della sicurezza dei loro bambini su internet. Quali sono i pericoli? Cosa possono fare i genitori?

Esistono dei rischi concreti per i più giovani, come quello di isolarsi dal mondo reale e rinchiudersi in una sorta di “nicchia mediatica” o navigando imbattersi in contenuti falsi e mistificatori o essere influenzati da valori e modelli di comportamento inadeguati o dannosi, diventare vittime di cyber bullismo o essere adescati da adulti potenziali abusanti.

Anche in questi casi non dovrebbe prevalere l’ansia. La preoccupazione può e deve trasformarsi  in voglia di occuparsi del problema superando la scarsa conoscenza che a volte si ha  dei nuovi media. Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a non ricevere passivamente informazioni, ma a decodificare i messaggi che vengono proposti quotidianamente e metterli confronto con le proprie opinioni e i propri valori.

Anche l’utilizzo dei filtri (di cui per la verità pochi sono a conoscenza) non deve tradire un’eccessiva ansia di controllo. Ad essi non vanno delegate le funzioni e le responsabilità genitoriali.

E’ un passaggio epocale, ma  per i passaggi epocali non ci sono ricette, ma sfide di pensiero e paziente sperimentazione: l’approccio moralistico al problema spesso nasconde la nostra impotenza a governare non solo i fenomeni sociali, ma perfino, più semplicemente le nostre vite. 

Ritiene che una maggiore collaborazione tra genitori e insegnanti sia necessaria per accompagnare i bambini nel loro percorso di crescita all'interno del nuovo mondo digitale?

E’ fondamentale. Ma non basta invocarla come petizione di principio che ci mette a posto la coscienza.
E’ necessario che gli educatori (e intendo in questo caso genitori e docenti) abbiano chiara la consapevolezza che da soli non ce la si fa e non serve più la delega alla famiglia da parte della scuola o quella dei genitori ai docenti in un rimpallo di responsabilità improduttivo.

Bisogna che si mettano in campo progetti condivisi che abbiano nella scuola il cuore pulsante: perché la scuola rimane oggi l’unico luogo reale e non virtuale di incontro di generazioni diverse: un bene relazionale di inestimabile valore.

giovedì 17 maggio 2012

Diesse: didattica, innovazione scolastica, formazione e aggiornamento

Intervista a Fabrizio Foschi, presidente nazionale Diesse (Didattica e innovazione scolastica) e relatore alla Conferenza Nativi Digitali. Scuola, tecnologie e aggiornamento del corpo docenti.


Cos'è Diesse? 
Diesse (Didattica e Innovazione Scolastica) è un’associazione di insegnanti costituita a Milano nel 1987, che si è rapidamente diffusa sul territorio nazionale. Attualmente conta circa 40 sedi locali, provinciali e regionali collegate alle sede centrale. 

Nata per rispondere a un’esigenza specifica (l’aggiornamento degli insegnanti), Diesse ha progressivamente maturato una consapevolezza che la porta oggi ad abbracciare l’insieme della condizione dei docenti negli aspetti didattici, educativi, culturali e politici. Lo strumento associativo, scelto dai promotori e ribadito nel tempo, esprime insieme le caratteristiche sostanziali di Diesse (la cultura professionale si realizza in un paragone continuo con esempi in atto) e quelle pubbliche, civili. 
Il contributo offerto dall’associazione alla scuola italiana in un’epoca di riforme degli ordinamenti e di ripensamento dei compiti dell’insegnante, è l’esistenza stessa di una soggettività che allarga gli spazi dell’educazione, fornisce giudizi e strumenti ed è riconosciuta come tramite della formazione dell’adulto che opera nella scuola. Questa è anche la ragione per cui Diesse è accreditata dal Ministero della Pubblica Istruzione come ente qualificato per la formazione. 

Qual è la sua mission? 
Diesse valorizza e promuove la professionalità e la dignità culturale degli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Il sostegno dei tentativi di tanti insegnanti che nella scuola assumono una responsabilità educativa nei confronti degli alunni, dei colleghi, dell’ambiente nel quale svolgono la loro attività didattica si realizza in vari modi: 

· Diesse propone a livello sia nazionale, che territoriale (dove è presente con le sue sedi), attività di aggiornamento e/o corsi di formazione su temi disciplinari e/o metodologici mediante una programmazione annuale che si può consultare sul sito dell’associazione (www.diesse.org); 

· offre per mezzo del sito aggiornato quotidianamente un’ampia gamma di pubblicazioni in formato on line, tra le quali: Didattica OnLine e Linea Tempo OnLine; 

· interviene con valutazioni e indicazioni sui temi caldi della scuola (riforme, contenuti e metodi dell’insegnamento, rilevazioni internazionali) mediante la newsletter settimanale (Libed.News) che si riceve gratuitamente; 

· documenta i temi della professionalità docente tramite la rivista trimestrale in formato cartaceo Libertà di Educazione che si riceve in abbonamento. Tra le principali iniziative di livello nazionale si possono ricordare: 

· L’annuale “Convention Scuola” nella quale sono inserite la Piazza della Didattica e le Botteghe dell’Insegnare (la prossima Convention si svolgerà a Bologna, nei giorni 13-14 ottobre e avrà come titolo: Protagonisti nella scuola. Per la crescita della società) 

· I Colloqui Fiorentini; ScienzAFirenze; le Vie d’Europa (www.diessefirenze.org ); 

· Il servizio di consulenza online per docenti “L’esperto risponde” 

Qual è il problema più grande che ostacola il funzionamento del processo di aggiornamento del corpo docenti? 
L’ostacolo più grande è costituito dal fatto che l’aggiornamento non è inserito in un piano di sviluppo della carriera docente. Eppure ci sono insegnanti, in giro per l’Italia, che rischiano quotidianamente la propria libertà e la propria professionalità nel confronto con la libertà dei ragazzi, mettono in piedi corsi di formazione per sé e per i colleghi, instaurano rapporti con le istituzioni spesso addormentate, creano centri di recupero scolastico e di aiuto allo studio. 

È su queste innovazioni già in atto nel tessuto più profondo della realtà scolastica che occorre porre le basi per un rilancio della professione docente. La ripresa della funzione docente non può avvenire solo attraverso meccanismi che si prefiggono di premiare il merito lasciando in ombra la persona del docente e il senso più profondo della sua professione. 

Le analisi più acute e le terapie più aggiornate finiscono per essere totalmente inefficaci se non si riparte dalla domanda sulla natura più profonda dell’insegnamento. La scuola nasce infatti per trasmettere una tradizione, una cultura, e ovviamente per consentire a chi apprende di vivere in un ambiente adatto a tale scopo. In questo senso il fulcro della trasmissione è la persona dell’insegnante che per la particolarissima modalità con cui l’essere umano apprende è al contempo insegnante ed educatore. 

La fuoriuscita dalla logica statalistica per cui il compito del docente consiste nell'assolvimento di un “ruolo” prestabilito e più o meno standardizzato (e non in una responsabilità che si gioca ogni giorno in modo nuovo) comporterebbe uno stato giuridico nuovo che ridefinisca funzione, reclutamento, formazione iniziale e carriera dell’insegnante italiano. 

A proposito di quest’ultimo punto (carriera del docente) si dovrà riconoscere l’inadeguatezza dell’unicità della funzione docente e prevedere una articolazione della professione, in relazione ai compiti che si assolvono nella scuola, soggetta a progressione economica, nonché a valutazione dell’impegno professionale che giustifica lo sviluppo della carriera. 

C'è chi dice che l'introduzione delle nuove tecnologie nella didattica si presti ad essere un ulteriore ostacolo all'aggiornamento degli insegnanti, disperdendo i fondi su una "non-priorità". Cosa ne pensa? 

Dobbiamo sempre ricordare che la rivoluzione informatica non rappresenta una delle tante mode didattiche ma propone un cambiamento nel paradigma conoscitivo che accompagna l’apprendimento di ciascun uomo. Proprio per questo essa può dare esiti positivi solo se affrontata tanto dal discente che dal docente. 

La scuola digitale, trasformata in una web community, può infatti correre il rischio di delegare alla novità informatica quello che è compito dell’educazione: comunicare l’ideale incontrato tramite la vita della persona. L’utilità di un mezzo dipende dalla capacità del manovratore di guidare lo strumento: in questo caso oltre che tecnicamente anche culturalmente. 

Così se nella scuola si abbandona l’uniformità del libro per l’infinita potenzialità dell’informatica, non si dovrà dimenticare che l’universo delle informazioni per avere senso ha bisogno di qualcuno che lo legga insieme ad altri. Detto questo, bisogna riconoscere che le nuove tecnologie manifestano, di riflesso, una mancanza di soggettività degli insegnanti, cioè di capacità critica: si spaventano degli strumenti virtuali semplicemente perché non vogliono incontrare e cambiare, perché incontrare vuol dir cambiare. 

Hai insegnato per 30 anni in un modo? Bene, ricominci! Non è colpa degli studenti, ma del tuo modo di non adeguarti ai metodi moderni. Se non hai soggettività, non sei capace di dominarli.

mercoledì 16 maggio 2012

UNITAG - La scuola e la rivoluzione digitale

Webforum all'Unità: le nuove tecnologie cambiano l'insegnamento (ma non in Italia)


Condotto dal direttore di Unita.it Luca LandòCarlo Infante con Francesca Puglisi, Carlo Massarini e Roberto Genovesi

- Prima Parte -

- Seconda Parte -

Fonte: l'Unità

martedì 15 maggio 2012

Scuola e tecnologie: cosa ne pensa un'insegnante 2.0?

Intervista ad Anna Rita Vizzari, professoressa di Lettere presso l'Istituto di Istruzione Secondaria di 1° Grado "A. Gramsci" di Sestu (Cagliari), coordinatrice e docente di una fortunata Cl@sse 2.0. 


In cosa consiste il progetto cl@ssi 2.0? 

Il Ministero ha stanziato, per qualche centinaio di classi campione dei tre ordini di scuola (individuate mediante concorso su base regionale), dei fondi che andavano utilizzati per l’acquisto di materiali che consentissero la sperimentazione di una didattica con un impiego significativo delle tecnologie. Le aree tematiche sulle quali si poteva sperimentare un percorso erano la naturalizzazione delle tecnologie, il cambiamento dell’ambiente di apprendimento, la promozione dello spirito di collaborazione e condivisione etc.

Un progetto interessante che però ha presentato diversi elementi problematici, dall’eterogeneità tecnologica (a livello di formazione, di competenze e di tempo dedicato) del consiglio di classe alla sostituzione in itinere di molti insegnanti per trasferimenti e pensionamenti, ai problemi tecnici, agli ostacoli burocratici per gli acquisti.

Un’altra cosa va detta, a  scanso di equivoci: non era prevista alcuna gratificazione economica dei docenti coinvolti, i quali hanno svolto nei tre anni un notevole lavoro aggiuntivo (in termini di aggiornamento, di preparazione dei materiali e di documentazione) per mera passione. Spero che in eventuali iniziative analoghe future si tenga conto di questo fattore, perché l’impegno  extra dell’insegnante per progetti enormi come questo - in cui si doveva produrre e documentare - non può essere considerato alla stregua di un hobby.Per dare un’idea del percorso svolto segnalo la slideshow realizzata per la documentazione finale.

Come è cambiato il suo modo di insegnare e il modo di apprendere dei ragazzi con l'introduzione delle nuove tecnologie in classe?

Insegno da 13 anni e generalmente ho avuto la grande fortuna di avere a disposizione le tecnologie del momento, se parliamo di hardware: dall’aula informatica al computer con video-proiettore in classe alla LIM ai netbook per alunno, quindi non ho avvertito sostanziali cambiamenti; è stata piuttosto un’evoluzione graduale.

Naturalmente man mano - senza scossoni -  sono cambiata a livello di metodologia didattica, allontanandomi sempre più da una didattica basata sul testo e avvicinandomi sempre più a una didattica a tutto tondo che affronti gli argomenti e le tematiche da diverse angolature, che tenga conto delle intelligenze multiple e che quindi valorizzi quanto più possibile le differenti abilità e capacità dei singoli alunni.

Con l’avvento del web 2.0 (avere la connessione è fondamentale) sono nati degli strumenti - a livello di software gratuitamente scaricabili ma anche e soprattutto a livello di webware - che davvero forniscono un apporto significativo e che consentono un approccio “multidimensionale”. 
Inoltre, ho praticamente smesso di fare lezione frontale: dopo una brevissima introduzione, invito gli alunni a fare ricerca e a realizzare loro i contenuti, a partire dalle mappe (mentali  e concettuali) che si sono rivelate davvero utili per il metodo di studio.

Vedo che i ragazzi hanno acquisito delle competenze che spendono in altri campi dell’esistenza (e questo me lo raccontano i genitori). Per esempio, se come compito realizzano degli artefatti sinestetici relativi a un componimento del Carducci (realizzare un video appropriato significa aver compreso il senso del testo), in famiglia poi spendono le competenze acquisite per realizzare dei video ad hoc per nascite, matrimoni e viaggi.

Qualcuno pensa che con questo tipo di didattica si usi l’informatica fine a se stessa, senza affrontare i contenuti. E questo non è vero: i contenuti classici vengono affrontati… semplicemente, da un’ottica diversa. La differenza la fanno l’approccio, il metodo e il “prodotto finale” - gli alunni amano produrre - che non è sempre il classico tema o il cartellone.

È stato interessante vedere come i ragazzi spontaneamente hanno attuato il peer tutoring: ciascuno di loro ha acquisito delle capacità e delle competenze - anche tecniche e comunicative - che poi ha messo a disposizione dei compagni e degli insegnanti. 

Uno dei problemi principali per un insegnante è quello di mantenere vivo l'interesse e l'attenzione della classe. Strumenti interattivi come la LIM aiutano in questo?

Credo che gli strumenti senza una metodologia innovativa non servano: se si attua una didattica frontale, non c’è LIM che tenga, anzi, la LIM stessa  rischia di agevolare una didattica frontale. Ho visto in qualche classe l’insegnante  aveva trascritto su decine di “lavagnate” del programma LIM alcune regole grammaticali e il relativo esempio.

E viceversa ho visto mappe mentali, schemi e tabelle fatte sulla lavagna d’ardesia. Quale dei due metodi è più efficace per gli alunni, soprattutto se pensiamo ai DSA? Se si attua una didattica non frontale, la si può mettere in pratica anche senza tecnologie.

In effetti, se penso al mio armadietto del periodo precedente l’avvento di LIM e del web 2.0, ricordo che avevo diversi strumenti di svariata natura (plastici, riproduzioni di reperti, cartine di diverso genere). Adesso li ho semplicemente smaterializzati;  ricorro sì alla LIM ma soprattutto ai webware, servizi on-line che permettono a me e ai ragazzi di realizzare contenuti didattici. Le tecnologie consentono di attuare una didattica più variegata, ma sta all’insegnante ingegnarsi per farlo: non può svolgere alla LIM ciò che svolgeva prima sulla lavagna d’ardesia, è risaputo. 

Da insegnante, cosa proporrebbe al Governo, attuale e futuro, per migliorare la scuola italiana? Quali sono le priorità? Quali, secondo lei, gli ostacoli più grandi al suo funzionamento ottimale?

Una domanda difficile a cui rischio di non rispondere in modo completo e pertinente adesso, a mente calda e nel periodo più frenetico dell’anno scolastico. 
Una delle priorità è certamente la sicurezza: ci sono scuole fatiscenti che hanno infrastrutture da brivido. Inoltre le classi sono sempre più numerose, stipate in aule non so fino a che punto adatte e affidate a sempre meno insegnanti; sempre meno ore di Sostegno vengono assegnate alle classi degli alunni con difficoltà. Tutti effetti dei famosi tagli: perché si taglia sempre sulla Scuola e sulla Sanità? Sono ritenuti dei rami così secchi?

Si auspica sempre più - giustamente - una didattica individualizzata ma allo stesso tempo il monte ore e le risorse (anche in termini di personale) sono sempre più ridotti al lumicino. Da insegnante di Lettere, posso dire che il passaggio dalle 11 alle 9 ore settimanali in classe è stato traumatico, perché quelle 2 ore in più permettevano recuperi, rinforzi e approfondimenti difficili da attuare regolarmente con questo orario così scarno per le diverse materie (Grammatica, Antologia, Epica o Letteratura, Storia e Geografia). Con la saturazione dell’orario degli insegnanti di Lettere, alcuni dei quali prima svolgevano 15 ore in classe e 3 a disposizione, non ci sono insegnanti che possano effettuare le sostituzioni degli assenti.

Ora, con gli accorpamenti delle scuole la situazione è pure peggiorata: scuole un tempo autonome ora non hanno più un dirigente né un direttore amministrativo proprio, sono come corpi abbandonati senza testa. Perché gli insegnanti, neppure i delegati di plesso, possono abbandonare la classe per andare a risolvere in tempo reale (e magari utile) quei problemi che in genere risolve il Dirigente con la sua assidua presenza. 
Passiamo poi alla valutazione degli insegnanti. Sono stanca di sentirne parlare da chi non sta in classe, perché esistono tante sfumature che non si possono far trapelare - per motivi di privacy, per esempio - e che non si possono valutare oggettivamente. Prendiamo le controverse prove Invalsi: sono davvero l’unico strumento con cui si devono e possono valutare i docenti? E poi, quali docenti? Soltanto gli insegnanti di Italiano e di Matematica?

Pensiamo anche al potere che potrebbe avere la commissione formazione classi, se si dovesse veramente retribuire il docente sulla base dei risultati dei test: uno dei criteri per la formazione delle classi è quello della valutazione conseguita dagli alunni nel precedente ordine di scuola. Da un lato si parla di  approccio multidimensionale che favorisca anche chi ha altre competenze e dall’altro i progressi degli alunni (e di conseguenza la “bravura” dei docenti) vengono misurati con le prove Invalsi che sicuramente non fanno leva sulle intelligenze multiple  bensì soltanto su quella linguistica e quella logico-matematica.

Suggerisco, per avere una visione complessiva delle problematiche che non ho affrontato, di dare un’occhiata ai tanti gruppi di insegnanti che esistono su Facebook, in cui docenti motivati di tutta Italia (e non solo, talvolta) condividono disinteressatamente le proprie risorse, si confrontano in merito alla didattica, alle questioni spinose nonché ai tanti problemi della scuola attuale. Insegnanti che si dedicano a questo lavoro in modo totalizzante e di cui è giusto sentire le voci.

mercoledì 9 maggio 2012

Il profumo dei limoni si può inviare per email?

In esclusiva per il blog un'intervista a Jonah Lynch, vicerettore del seminario della Fraternità di San Carlo Borromeo e relatore alla Conferenza #NativiDigitali. 

di Emanuela Clementi

Jonah Lynch è nato nel 1978
in Canada in una comune hippies.
Si è laureato in Fisica
alla McGill University a Montréal;
ha studiato filosofia e teologia
all’Università Lateranense
e ha ottenuto un Master in Education
alla George Washington University
Il suo ultimo libro, “Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook”, invita a riflettere sui cambiamenti prodotti nella persona dalle nuove tecnologie. Ci può spiegare cosa c'entrano i limoni con le tecnologie?
D'inverno, quando passeggio davanti alla mia camera, mi piace annusare il profumo dei limoni che si trovano su un albero nel giardino. Quando stavo scrivendo questo libro, una volta ero lì fuori a sentire il profumo e mi è venuta voglia di condividerlo con mia madre. In quel momento mi è venuta l'ispirazione per il titolo: ecco una cosa bellissima che però non può passare tramite e-mail. Mi è sembrata un'esperienza sintetica per indicare alcuni dei limiti della tecnologia.

La tecnologia ha invaso la nostra vita, rimodellando il nostro modo di leggere, scrivere, apprendere e comunicare. I vantaggi sembrano evidenti, lei crede tuttavia che ci siano anche pericoli reali e concreti dietro alla rivoluzione digitale?
Non sono poche le persone che avvertono un oscuro disagio con il nostro mondo tecnologico. C'è chi, come Nicholas Carr, fa leva sugli ultimi studi di neuroscienza per far vedere che la tecnologia, lungi dall'essere neutrale, influisce profondamente sulle strutture neuronali. Ci sono sociologi, come Robert Putnam e Sherry Turkle, che rilevano nella nostra società iperconnessa una immensa solitudine. Anche nella scuola non è ancora chiaro il giudizio complessivo circa l'aiuto che le tecnologie digitale possono dare all'apprendimento. Un esempio su tutti è l'attenzione. Gli strumenti multimediali certamente possono essere più accattivanti delle lavagne di ardesia, ma forse finiscono proprio per questo a indebolire l'attenzione dello studente e, di conseguenza, anche la sua capacità di fare esperienza. 

 Nel testo ci invita a riflettere sulla mutazione dei rapporti interpersonali, influenzati dal modo di comunicare e di incontrarsi proposto dai social network, e all'inizio del libro spiega che tre dei cinque sensi non possono essere trasmessi attraverso la tecnologia. Verrebbe da aggiungere “per ora..."
Ma certo, è un po' una boutade... So bene che ci sono stati e che ci saranno ancora tentativi di creare "stampanti di profumi". L'anno scorso girava su YouTube un simpatico video che illustrava un fantomatico macchinario che permetteva di baciare attraverso una connessione internet...
La mia insistenza sui sensi è più che altro un invito a riflettere sulla ricchezza dell'esperienza "in tempo reale". Samuel Beckett, in Molloy, parla della "spray of phenomena", il getto dei fenomeni che continuamente mi raggiungono attraverso tutti i sensi.
Quella eccedenza è innegabile: pensa alla differenza fra una tela di Burri e una foto di un quadro di Burri, o fra un film 3D e uno spettacolo teatrale. C'è una differenza importante fra la realtà fisica e ogni suo surrogato. La cosa è ancora più importante quando si tratta di rapporti umani. Pensa alla differenza tra un bacio telematico e uno in persona, oppure a una stretta di mano o a una risata insieme, piuttosto che ahahahah scritto nella chat....

Nel  passaggio epocale che stiamo attraversando in ambito tecnologico, come ritiene possibile che coloro che hanno il compito di educare i 'nativi digitali' riescano  a introdurli nella realtà vera, non quella virtuale? Crede che sia necessario un po’ di digiuno tecnologico per raggiungere tale scopo?
Innanzitutto cambierei i termini della domanda. Anche Internet è realtà. Credo che il compito dell'educatore sia di introdurre alla totalità della realtà, senza sbilanciarsi troppo da una parte o da un altra. Per questo nel mio libro parlo di un digiuno tecnologico. Non è la proposta dell'astinenza, di non avere a che fare. Si tratta invece di avere un rapporto ragionevole con ogni aspetto della realtà. Ad esempio, mi sembra liberante spegnere il cellulare, quando parlo con gli amici più cari. In quel momento, non c'è nulla di più importante della persona che ho davanti. Altre volte è liberante poter essere raggiunto, e non dover stare sempre nel mio ufficio. Uno degli scopi dell'educazione è di imparare la libertà di usare gli strumenti in base a un'ideale.

Jonah Lynch
Il profumo dei limoni - Tecnologia e rapporti umani nell'era di Facebook
Lindau (2011)

lunedì 7 maggio 2012

Internet cambierà l'Italia? VIDEO

AGENDA ITALIA: La sfida della banda larga per abbattere il digital divide - Ne discutono con Cristiano Bucchi (YouDem): Francesca Puglisi, responsabile Scuola Pd, Giovanni Belfiori, coordinatore del dipartimento Scuola e Paolo Ferri, professore associato di Teoria e tecnica dei Nuovi Media presso l'Università Milano Bicocca.


giovedì 3 maggio 2012

Eduskill, nuovi modelli educativi


Intervista a Carlo Infante, docente freelance di Performing Media, opinionista e presidente-managing director di Urban Experience



di Ludovica Tartaglione




Con il forum Eduskill di Idea360.it avete aperto un interessante dibattito sui nuovi modelli educativi. Cosa ne sta emergendo? 

Nell'arco di questi ultimi tre mesi con Eduskill abbiamo creato, sulla
piattaforma d'innovazione sociale idea360, un fronte di aperta
riflessione sui nuovi modelli educativi al tempo delle reti.
Abbiamo impostato il forum sulla base di una serie di conversazioni
con alcuni dei massimi protagonisti dell'innovazione dei sistemi
d'apprendimento. Ogni mese, con una programmazione settimanale dei
frammenti ricostruiti dei colloqui, combinati con delle videotag
(sequenze video intervallate dalle tag-parole chiave emerse) e le
tracce audio originali, abbiamo visto focalizzare alcuni punti cardine
della questione. Per sintetizzare possiamo dire che con
Roberto Maragliano abbiamo trattato della metamorfosi dei linguaggi in
relazione ad una diversa percezione del mondo da parte della nuova
generazione. L'abbiamo definita la “mediamorfosi” perchè questa
trasformazione è radicalmente scandita da una multimedialità che il
sistema educativo riesce ad interpretare troppo poco e in chiave
esclusivamente didattica. La questione è più ampia e concerne il
coinvolgimento attivo dei ragazzi, come è emerso nell'incontro con il
sottosegretario al Ministero all'Istruzione Marco Rossi Doria.
Un'attenzione che comporta una politica-poetica dell'attenzione, per
evitare la dispersione scolastica, come è stato analizzato anche sulla
base della sua esperienza diretta in quanto maestro di strada ai
Quartieri Spagnoli di Napoli. Con Caterina Cangià, salesiana di Don
Bosco, definita “sister net” per l'impegno nel web, abbiamo messo a
fuoco il suo metodo che coniuga teatro e nuovi media, raggiungendo
risultati di apprendimento delle lingue con i bambini più piccoli.

In che modo la rivoluzione digitale ha cambiato le attitudini cognitive delle nuove generazioni?

Le abitudini della nuova generazione non stanno cambiando. Sono così,
nascono così'. Vivono naturalmente in un mondo pervaso da
sollecitazioni multimediali e non fanno altro che captare i segnali
che li circondano. Siamo noi, quelli che si sono strutturati
culturalmente dentro le cornici del pensiero lineare, che dobbiamo
cambiare (e alla svelta) per non farli crescere da soli.
Il punto chiave è quello di riconfigurare gli assetti di trasmissione
dei saperi in modo adeguato per intercettare queste nuove attitudini e
fare in modo che si evolvano in competenze e conoscenza.

Cos'è l'edutainment? Come funziona e che relazione ha con l'uso delle nuove tecnologie?

Come i tutti neologismi sembra un concetto astratto ma rivela la
chiave di volta di tutto il sistema educativo.
Per apprendere bisogna “tirar fuori” (educare, dal latino educere,
significa questo).
Ancor prima della didattica che struttura la trasmissione dei saperi e la formalizzazione delle competenze, deve esserci il coinvolgimento attivo dei ragazzi.
Mixare educational ed entertainment nella parola edutainment significa
coniugare la dimensione ludica della partecipazione con quella
educativa che comporta, prima di tutto, disponibilità ed elaborazione
attiva.
Si deve porre molto più attenzione alla “porosità”cognitiva dei
ragazzi. L'errore più grave è infatti quando si crea nello studente
quella soglia impermeabile per cui tutto scivola via. Si deve sempre
trovare il modo perché ci si metta in gioco, studenti e docenti,
possibilmente insieme. In questo senso le dinamiche connettive del web
sono un'occasione fondamentale per liberare le migliori potenzialità
della cooperazione educativa.

lunedì 16 aprile 2012

Intervista al presidente del CIDI Giuseppe Bagni

Giuseppe Bagni, presidente del CIDI (Centro di Iniziativa Democratica Insegnanti), racconta in esclusiva per il blog #conferenzanatividigitali  il rapporto tra insegnanti e nativi digitali e le nuove prospettive della didattica.

In che modo il Cidi si sta attivando per venire incontro alle nuove esigenze didattiche emerse con l'arrivo della generazione dei nativi digitali nelle scuole? 

Il Cidi è sicuramente, per storia e cultura, più vicino ai cosiddetti "migranti digitali", che costituiscono la stragrande maggioranza dei docenti. Vista la loro età media, è fuori di dubbio che si parla di adulti che hanno costruito la propria istruzione sui libri cartacei, in un tempo in cui lo "scrivi e cancella"  era al posto del "copia e incolla" attuale. Per questo non sono convinto che il problema principale sia davvero le nuove esigenze dei "nativi digitali", quanto piuttosto la relazione nuova e del tutto inedita che deve costruirsi tra insegnante e alunno: due soggettività che devono confrontarsi per la prima volta con una distanza che non è solo anagrafica ma connota addirittura le loro modalità di pensiero e di analisi. Ma se nella didattica riconosciamo più il terreno di un confronto che il contenuto e la tecnica di una trasmissione, allora possiamo comprendere come i "nativi digitali" stessi  siano una risorsa preziosa per far avanzare un nuovo modello d'istruzione e favorire anche la necessaria "mutazione" di noi docenti. La strada da seguire resta quella di una didattica nuova, coinvolgente e partecipata, che miri alla costruzione di un curricolo fondato su scelte coraggiose di contenuti e di metodi, con una forte attenzione all'epistemologia delle discipline e alla psicologia dell'età evolutiva degli alunni. Discutere del nuovo pensiero digitale di questa generazione diventa incomprensibile se non si comincia davvero a dare un ruolo alle modalità (e possibilità reali) d'apprendimento dei nostri studenti.

La trasmissione gerarchica e unidirezionale del sapere è messa in discussione dal web e dalla miriade di informazioni cui è possibile accedere in tempi rapidissimi. In che modo tutto ciò incide sul rapporto professore/alunno?

Non credo che sia un fattore influente. La scuola non è in competizione con chi dà informazioni, né deve fare a gara in velocità di trasmissione. Se lo fosse sarebbe condannata alla sconfitta. La scuola cerca di sviluppare nei suoi alunni un "agire competente" che non è consequenziale di un maggior livello d'informazione, ma di maggior consapevolezza.
A mettere in discussione la trasmissione gerarchica nella scuola è soprattutto la sua obsolescenza culturale. Oggi cade definitivamente l'illusione che si possa fare buona scuola senza il coinvolgimento attivo dei soggetti dell'apprendimento. É divenuto evidente che al senso del dove che tradizionalmente chiediamo ai nostri allievi corrisponde il dovere nostro di dar senso a questo loro impegno. Una specularità delle responsabilità che prima poteva essere nascosta proprio dal rispetto (formale) di quella gerarchia e unidirezionalità (sostanziale, ancora oggi) che caratterizzavano la scuola del passato.
Non possiamo che essere felici che il confronto con i "nativi digitali" faccia esplodere a scuola la necessita del loro protagonismo.

Cosa pensa del corpo docente attuale di cui fa parte? E' in grado di sostenere la rivoluzione del web 2.0 e di continuare a catturare l'attenzione di ragazzi soggetti a sempre più stimoli esterni?

Io ho molta stima dei miei colleghi. Noi insegnanti stiamo svolgendo un ruolo tanto fondamentale quanto difficile. Insegniamo a degli studenti che nella stragrande maggioranza non ci assomigliano più, troppo diversi da come noi siamo stati studenti nel modo di pensare e di apprendere. E siamo chiamati a insegnare un sapere dotato di permanenza per essere la bussola dell'agire responsabile dei nostri allievi, in un tempo di trasformazioni vertiginose, dove il sapere appare un bene di facile consumo, a rischio di immediata evaporazione.
In questa situazione la scuola deve ora misurarsi anche con le novità dirompenti della comunicazione digitale. Lo sta facendo con una comprensibile riluttanza, ma lo sta facendo. Non dobbiamo dimenticare che la scuola è e deve restare un luogo di conversazioni. Anche e soprattutto tra generazioni. Luogo di contatti prima ancora che di connessioni. Ma la ricerca dei valori permanenti in ogni tempo non significa resistere al tempo, bensì interpretarlo. Sono convinto che noi insegnanti impareremo a "manipolare" anche le risorse del web per tenere viva l'attenzione dei nostri alunni. Dobbiamo prenderli là dove sono per portarli là dove vogliamo.

Cosa pensa dell'introduzione delle nuove tecnologie nelle scuole? E' una priorità oppure un "di più" del quale possiamo tranquillamente fare a meno per il momento?

Non sono una priorità. La priorità, l'unica, è l'apprendimento degli allievi.
Sono invece una risorsa che dobbiamo imparare a usare bene. Uno strumento che si presta magnificamente ad una comunicazione orizzontale, democratica, coinvolgente, profondamente collaborativa; in luogo di quella unidirezionale e trasmissiva, che fa della cattedra il simbolo concreto di una gerarchia e di un confine. Gerarchie nella comunicazione sono indispensabili, ma non devono diventare barriere. Tra le nuove tecnologie mi convincono molto quelle che permettono di stabilire ruoli all'interno di una comunicazione fortemente orizzontale, lasciando che siano questi a stabilire le giuste gerarchie. Certo se invece tutto si riduce a una LIM usata come una lavagna ma senza gesso, il potere innovativo si riduce quasi a zero.


(a cura di Ludovica Tartaglione)

martedì 10 aprile 2012

Chi sono i Nativi Digitali? Risponde Roberto Maragliano



Chi sono i Nativi Digitali?


Risponde Roberto Maragliano, docente di Scienze della Formazione dell'Università di Roma3:


giovedì 5 aprile 2012

Il futuro non è più quello di una volta

Riportiamo la conversazione fra Roberto Maragliano e Carlo Infante, pubblicata su Eduskill, il forum sui nuovi modelli d’apprendimento ospitato all’interno di Idea360, la piattaforma di social innovation.
La conversazione è divisa in cinque parti, qui riportiamo le tre già pubblicate. Questi i link alle pagine di Eduskill:
Prima parte
Seconda parte
Terza parte

Il futuro digitale. Una scommessa che non si compie da sola.

di Carlo Infante

Il filosofo Roberto Maragliano
insegna all'Università Roma Tre
“Il futuro non è più quello di una volta”, dice Paul Valery.  Ed è grazie a questo spunto ironico che inauguriamo questa area di discussione dal titolo EduSkill. I nuovi modelli educativi per trattare di futuro digitale e di come il sistema scolastico, tendenzialmente, inciampi su questo aspetto.
C'è chi  rivendica con una certa ostinazione che la scuola non ha nei suoi compiti rincorrere l'innovazione. Lo abbiamo sentito dire più di una volta.
Ma come si fa a ragionare cosi? Non ci si rende conto che si ha a che fare con una generazione che rischia di crescere da sola?
Ne parlo con Roberto Maragliano, una delle figure apripista della didattica multimediale in Italia, in una serrata conversazione (da non considerare un'intervista) che pubblicherò in cinque tratti.

(Carlo Infante) Iniziamo la nostra conversazione con il parlare di futuro digitale, un futuro che è già inscritto in questo presente e che, come afferma lo scrittore canadese William Gibson, “è già qui...anche se è mal distribuito”.
Sì, il futuro digitale è come la ricchezza: troppa disparità sociale. Un'opportunità che se non viene  rilasciata equamente viene di fatto negata come risorsa possibile. E' una scommessa che non si compie da sola.
Non è solo un problema del digital divide infrastrutturale, per le scarse connessioni internet, ma del divario tra chi vuole e desidera l'innovazione multimediale e chi invece la nega. Si tergiversa, si perde tempo e, nel frattempo, una generazione cresce da sola.
Roberto,quando parliamo di futuro digitale penso a quando ci siamo conosciuti, all'inizio degli anni Novanta, sul fronte di una ricerca diffusa, emergente, sull'apprendimento ipertestuale.
Qualche anno dopo, al Salone del libro di Torino del 1996,  hai partecipato ad un'operazione che curai in prima persona; non era solo un convegno ma un'area di laboratorio multimediale con i primi ipertesti realizzati dagli insegnanti delle scuole piemontesi.
S'intitolava Il futuro digitale. Un presagio, visto dalla prospettiva odierna, dato un sistema educativo che ancora arranca nei confronti dell'innovazione multimediale.
Tu eri protagonista di una tendenza che cercava di rifondare a livello istituzionale il sistema Scuola.
Coordinavi una commissione ministeriale con l'obiettivo di impostare una strategia pubblica per innovare i modelli d'apprendimento.
Rispetto a quella attività di trincea, contrassegnata da conflitti aspri e immobilismi vari, “cosa è accaduto  perché non accadesse nulla”?
Come definiresti gli ostacoli su cui si è infranta quell'avventura di innovazione dei modelli educativi che di fatto esprime un nuovo paradigma cognitivo?

(Roberto Maragliano) E' accaduto che abbiamo visto emergere la componente oscura, l'ombra, del crepuscolo di un mondo che non voleva finire.
McLuhan lo aveva intuito: un'era stava finendo e un'altra iniziava. Lo studioso canadese intuisce che quella che sta finendo è l'era della stampa  e sostiene che, nel passaggio, quell'era ha dentro di sé sia i residui dell'era precedente sia le intuizioni per quella successiva. In questa era di passaggio, come in tutti i crepuscoli, c'è sia la luce sia l'ombra.
Ognuno poi interpreta come crede ciò che è ombra e ciò che è luce, a seconda dei punti di vista.
Un animale notturno vede l'aspetto negativo nella luce.
C'è luce e c'è ombra in questa radicale mutazione della cultura della scrittura. E penso a come quel mondo abbia nei secoli definito la marcatura dei confini, quelli della strutturazione analitica, delle logiche sistematizzanti dell'approfondimento, del pensiero razionale...

(Carlo Infante) Sì, quella cultura ha teso a territorializzare, a definire dentro schemi preordinati gli ambiti della conoscenza. Tutto il pensiero alfabetico basato sull'inesorabile sviluppo lineare ha territorializzato  il sapere…

(Roberto Maragliano) Nel senso che l'ha sondato, organizzato, strutturato, gli ha costruito intorno tanti bei giardini epistemologici. Qui inizia il mio giardino e lì finisce il tuo. Il giardino del terzo incomodo è ovviamente esterno ai nostri due giardini. E' straniero. Ogni tanto c'è qualcuno che fa un piccolo volo  superiore e vede le cose, fermo restando che la pertinenza del mio giardino è questa. L'importante per questa logica è tenere tutto separato, in una logica bloccata che segmenta il sapere.
C'è per fortuna un'altra cultura che attraversa le cose,  ma non dall'alto, le attraversa dal di dentro, non riconosce i confini. Si muove come una talpa, ad un altro livello...

Mediamorfosi. La metamorfosi dei linguaggi, tra oralità e ipermedia
(Carlo Infante) C'è un punto cardine per ciò che riguarda la questione educativa. Riguarda la veloce trasformazione dei linguaggi scandita dall'evoluzione tecnologica in atto.
Molti pensano che tutto questo meccanizzi, renda algida, disumanizzante, la comunicazione. Invece è proprio il contrario. Paradossalmente l'approccio con ciò che chiamiamo multimedialità interattiva sta rimettendo in gioco i fattori sensoriali, irrompe il principio attivo dell'oralità nell'immediatezza della scrittura on line. Ci si emancipa dalle strutture rigide del pensiero lineare grazie all'ipertesto che ripercorre le dinamiche combinatorie e associative del pensiero umano.
Tra l'oralità e l'ipermedia c'è una connessione profonda: si tende a rivalutare la dimensione naturale del comunicare.

(Roberto Maragliano) Assolutamente si. In una visione naturalmente di tipo circolare ci sono i ritorni. Riemerge la necessità di dare senso alla comunicazione per quello che è: condividere, entrare in relazione con ciò che ci circonda. Si tratta di una visione che dal punto di vista filosofico ed epistemologico è diversa dalla visione lineare tipica del sistema della scrittura affermato con la tecnologia della stampa.
In questa logica la fine dell'egemonia della stampa, segna il recupero della dimensione linguistica, nel senso orale, corporale, fisica, anche sensuale e sentimentale, più propensa a prendere la totalità dell'uomo, quindi in linea con le scoperte della psicanalisi.
Già le avanguardie, sia sul piano artistico sia sul piano scientifico, avevano rotto con i sistemi lineari. Era accaduto già nei primi anni del Novecento, inventando scritture e visioni straordinarie.
Queste intuizioni sono state fatte proprie dall'industria della comunicazione che le ha sapute integrare all'universo commerciale. Pensate al cinema e alla televisione e anche la radio e il telefono. Tutto questo si sta amplificando sul versante del digitale. Oggi ci troviamo di fronte a questa situazione: una tradizione di cultura scritta che è il punto di riferimento fondamentale per l'accademia e la scuola e un universo mediale verso cui confluisce tutto il mondo, i giovani in testa.
Un mondo pervaso dalle logiche del consumo, senza offrire strumenti elaborazione.

(Carlo Infante) Eppure il web, a differenza dei sistemi del broadcast radio-televisivo, permette di agire in prima persona, senza grandi investimenti: permette cioè di fare qualcosa, subito, per riequilibrare una situazione di gravissimo divario tra i modelli educativi e un mondo che sta cambiando esclusivamente sotto il segno dei consumi commerciali. E' doveroso che il sistema della formazione gestisca l'aspetto cognitivo dei nuovi media.
Quale energia culturale libera l'ipertestualità?

(Roberto Maragliano) La semantica delle connessioni va esercitata per dare il senso alla comunicazione integrata al processo educativo. E' una questione che riguarda il nostro rapporto con la vita che si trasforma e di conseguenza la nostra relazione con il sapere. Abbiamo diecimila cose in testa, è sempre stato così, anche se oggi di informazioni ne circolano sempre di più. Si sta delegando alla rete i meccanismi della memoria che prima si gestivano autonomamente. Ma possiamo acquisire questi meccanismi e tradurli in un processo culturale capace di lavorare per associazioni che arrivino ad interpretare le connessioni ipertestuali del web e convertirle in nuovo modo di organizzare il pensiero.

(Carlo Infante) Ci siamo, è qui il punto. E' questa la leva da esercitare perché il sistema educativo investa maggiore attenzione su questi processi. Ciò che viene definito tecnologia è sostanzialmente modificazione degli assetti culturali più profondi.

Palestre ludico-educative e nuove attitudini cognitive
(Carlo Infante) Parliamo di modificazioni culturali determinate dall'evoluzione tecnologica ma per la nuova generazione non si pone la questione. Non si modifica nulla: i ragazzi stanno crescendo dentro questo mondo digitale.
Ricordo dell'esperienza fatta insieme nel 1994 per la Biennale dell'Adolescenza di Cagliari dove fu presentato il primo medialab italiano. Già allora ci si interrogava su come i videogame rappresentassero una palestra ludico-educativa per i più piccoli. Ci misuriamo con i nativi digitali, un termine che Mark Prensky ha coniato con successo nel 2001, per fare in modo che la nuova generazione sia in grado di affrontare una società sempre più complessa. Il nodo da sciogliere è nel come armonizzare la nostra impostazione culturale con le loro nuove attitudini cognitive.

(Roberto Maragliano) Da parte della cultura accademica, da sempre, c'è il tentativo di inscatolare dentro un sistema stabile il giovane che si deve formare.
L'idea del nativo digitale sta prendendo piede e per molti è funzionale ad una giustificazione per non fare nulla.
Si dicono: quelli sono nati così, che cosa ci possiamo fare? Nel momento in cui diventa un'etichetta rischia di diventare una specie di alibi. Lo si vuole far passare come un problema che riguarda le generazioni, mentre l'avvento del digitale riguarda tutti noi.
Mette in discussione l'identità di tutti, anche di coloro che non sanno neppure utilizzare il web anche se poi insegnano materie che hanno a che fare con le tecnologie.
Questo sfasamento rende molto opaco l'atteggiamento di molti educatori nei confronti di una nuova generazione che si chiede “dove andiamo, cosa facciamo” nella frequentazione del web.
Non si può accettare che non si riesca a coinvolgere questi ragazzi del processo formativo.
La grande novità della rete è che è semplice e complessa allo stesso tempo.
Nella sua semplicità d'uso per i giovani va trovato, da parte degli educatori, un riconoscimento della complessità per arrivare alla conclusione dei ragionamenti, per la loro consapevolezza culturale.
Un po' di modestia farebbe tanto bene alla cultura accademica per imparare a mettere in relazione il semplice con il complesso. Ma purtroppo c'è una grande povertà epistemologica nel campo accademico per fare questo lavoro.

(Carlo Infante) Infatti affrontare i nuovi modelli educativi riguarda sempre di più la riconfigurazione culturale dei formatori per intercettare il sentire dei nuovi digitali. Devono mettersi in discussione. Quando pensiamo all'idea dell'apprendimento lungo una vita … E' di questo che si tratta.

(Roberto Maragliano) E' duro ma anche affascinante riconoscere che oggi in molti devono rivedere le impostazioni culturali su cui hanno fondato la loro professionalità docente. E' difficile in questo processo accettare di non avere più i punti fermi su cui s'è costruita un'identità professionale.

(Carlo Infante) Bisogna sapersi mettere in gioco. E guardarsi intorno riconoscendo gli input che arrivano al di fuori del mondo chiuso della scuola.

(Roberto Maragliano) Pensa a tutto il mondo del consumismo verso cui i nativi digitali sono naturalmente attratti. Il mondo della scuola lo ignora o lo demonizza. C'è una volontà di tenere separata la scuola dalla società nelle sue espressioni più quotidiane. In questa situazione c'è una schizofrenia del sistema educativo.
Il nativo digitale ha un patrimonio di intelligenza dentro si sé che esprime spesso nell'essere un consumatore attivo dei nuovi media. E' estremamente attento nel consumismo tecnologico e incredibilmente distratto sul versante scolastico. Non si ritrova in una scuola che gli impone di essere intelligente secondo una logica che non alberga più nel mondo delle connessioni web.

La robotica educativa, una nuova risorsa per la scuola

Intervista a Alfonso Molina


di Francesco Vettori - Fonte: Indire.it

Sono appena usciti due manuali dedicati alla Robotica educativa, editi dalla Fondazione Mondo Digitale, scaricabili gratuitamente da qui: ne parliamo con il direttore scientifico prof. Alfonso Molina, supervisore di entrambe le opere e autore della loro premessa.

I due volumi “Primi percorsi e giochi interattivi” e “Competizioni: un percorso formativo con Micromondi Ex Robotica e Lego NXT” sono dedicati a classi di studenti di età diversa. Che cosa si intende per robotica educativa e quali sono le sue applicazioni più significative?
La robotica educativa è lo sviluppo e l’uso dei robot a fini didattici, per l’insegnamento e per l’apprendimento. I robot sono macchine programmabili a cui si possono dare istruzioni che determinano il loro comportamento.
I robot facilitano la didattica costruzionista che stimola ad inventare, programmare e costruire apparecchi meccatronici (integrazione dell’elettronica con la meccanica) in processi ad alto potenziale multi-disciplinare.
La robotica educativa può essere utilizzata sia per l’apprendimento scientifico e tecnologico, parliamo di materie come matematica, fisica, biologia, ingegneria, computing che per discipline come l’arte, la musica e materie umanistiche come la filosofia (in particolare l’etica).
La robotica educativa inoltre permette agli studenti di sviluppare le competenze per la vita (creatività, problem-solving, lavoro di squadra ecc.) che giocano un ruolo di forte rilevanza per l’educazione del 21° secolo.

Per riprendere il titolo di un saggio di qualche anno fa che tratteggiava la situazione generale delle ICT, siamo ancora fermi a una rivoluzione incompiuta anche nella robotica oppure il momento dell’appiattimento sullo strumento, date le sue difficoltà d’uso, è stato superato?
Credo che sia in via di superamento. La robotica educativa si va sempre più diffondendo nelle scuole anche se ci sono ancora importanti ostacoli da superare, innanzitutto dal punto di vista del curriculum scolastico.
Tra le tendenze positive ci sono:
(a) l’arrivo di tecnologie a basso costo insieme alla crescita di modelli di software e hardware aperti
(b) lo sviluppo di materiali didattici sistematici (manuali, video, ecc.) sull’uso della robotica attraverso il ciclo scolastico, dalla scuola primaria alla secondaria superiore
(c) la crescente presenza in Internet di materiali e corsi “open content” forniti da università e altre organizzazioni di differenti parti del mondo
(d) l’inizio dell’inserimento della robotica nella offerta curriculare della scuola, innanzitutto in paesi come l’Olanda. In Italia, questa tendenza inizia a diffondersi negli istituti tecnici
(e) la diffusione di ambienti virtuali dedicati alla robotica educativa senza limiti di spazio e di tempo

Si fa un gran discutere di nativi digitali e delle resistenze, specie dei docenti, a riconoscere il valore delle nuove tecnologie: dal Vostro osservatorio che cosa vedete?
Tutti i processi di innovazione coinvolgono persone con diversi ruoli. I nativi digitali sono sicuramente avvantaggiati per il fatto che sono cresciuti circondati da tecnologia digitale che permette loro di comunicare senza frontiere e imparare accedendo a fonti e metodi che gli insegnanti più maturi non hanno mai conosciuto.
Ci sono poi dall’altra parte anche insegnanti e dirigenti scolastici innovatori che si sono “convertiti” alla tecnologia: la utilizzano e cercano di diffonderla all’interno della scuola. Molti di quelli che collaborano con noi lo fanno da tempo.
Per adesso questi “innovatori didattici” sono una minoranza perché ancora il sistema scolastico italiano non offre lo stimolo e il supporto necessario per far diventare l’innovazione nella didattica una meta da seguire con forza ed entusiasmo.
Il sistema scolastico non mostra una pratica d’implementazione tecnologica sistemica che aiuti a superare l'incertezze e le insicurezze normalmente associate con i cambi tecnologici. Le resistenze dei docenti “non-innovativi” non si devono vedere come irrazionali ma si devono capire per disegnare e implementare processi di innovazione più razionali.

Alle nuove tecnologie e forme del comunicare viene sempre più spesso aggiunto il termine “strategia”:  può spiegare le ragioni di questa associazione?
Si usa il termine “strategia” perché l’adozione di nuove tecnologie e forme di comunicazione comporta processi sociotecnici complessi all’interno della società, ovvero processi che integrano aspetti tecnici e sociali in una sola realtà di cambiamento.
Questo processo è l’innovazione che è stata definita come invenzione + implementazione.
Se partiamo da questo presupposto, possiamo dire che c’è un chiaro bisogno di “strategie” con obiettivi, piani di azione, monitoraggio, controllo e valutazione per incrementare il più possibile le chance di successo. Questo è particolarmente importante nei casi di processi complessi su grande scala come quello della trasformazione verso l’educazione del 21° secolo.  Senza una strategia lungimirante, lo spreco di energie e risorse è inevitabile.
Inoltre si parla anche di tecnologie strategiche, quelle di cui non si può fare a meno (come Internet) che richiedono lo stesso bisogno di strategie per stimolare e guidare una diffusione efficace della tecnologia nella società.

Alfonso Molina è professore di Strategie delle Tecnologie presso l'Università di Edimburgo e direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale.

mercoledì 4 aprile 2012

I ragazzi sono il centro dell'esperienza educativa

Conversazione tra  Carlo Infante e il Sottosegretario al Ministero dell'Istruzione, Università Ricerca  Marco Rossi Doria (dal forum Eduskill di  IdeaTre60.it)

"Apriamo questo secondo ciclo di incontri con Marco Rossi Doria, Sottosegretario al Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca. Un protagonista della ricerca educativa, in particolar modo per la sua attività di maestro di strada nei Quartieri Spagnoli di Napoli.

(Carlo Infante) Le conversazioni che sto conducendo in questo forum, titolato EduSkill i nuovi modelli educativi, tendono a rilevare quelle modalità che s'attestano al di là dell'aspetto strettamente didattico.
Il mondo della scuola è la soglia per una nuova generazione che si affaccia la società.
E' il luogo dove si mettono alla prova le relazioni e le regole. E' il tempo che viene investito per una crescita che comporta sia crisi sia gratificazioni. Mi piace pensare la dimensione educativa come l'opportunità fondante per sapersi mettere in gioco, per tirar fuori la propria risorsa, la propria vocazione e non solo per mettere dentro informazioni strutturate. La dinamica del gioco è in questo senso una modalità straordinaria, espansa anche grazie alle attitudini multimediali, per sollecitare quei processi cognitivi rivolti alla cooperazione. Cosa pensi della definizione della scuola come palestra ludico-partecipativa?

(Marco Rossi Doria) Se per ludico vuoi dire che ci si deve divertire un po' per apprendere, allora è bene che sia ludico. Nel gioco c'è sempre qualcosa di serissimo che ha a che fare con le regole. Faccio un esempio. Con degli insegnanti si trattava del problema del Diritto, della Legalità. Allora io mi ero fissato con dei ragazzini di quartieri molto popolari, che giocavano con il Fantacalcio, quel popolarissimo gioco di simulazione sul calcio che spopola nel web. Il Fantacalcio ha delle regole molto capziose, c'è tutta una prospettiva del diritto là dentro. Magari in classe si parlava di Diritto e si urlava contro i ragazzi mentre intanto stavano preparando le formazioni per la partita di calcio da fare on line o il lunedì discutevano il punteggio in base alle regole che si erano dati. Mi colpiva come questi due mondi, quello del Diritto così come era strutturato nella testa dell'insegnante e quello dei ragazzi che lo stavano sperimentando giocando, non s'incontrassero.
Un insegnante deve saper tradurre, deve capire che i ragazzi sono il centro dell'esperienza educativa. Conta l'apprendimento. Sono loro che devono apprendere. E questo accade se li capisci, se sei sufficientemente empatico e ti metti nella loro testa.

( Carlo Infante ) L'insegnante come coach, come allenatore, come regista della comunità d'apprendimento, capace anche d'interpretare le nuove qualità multimediali dei ragazzi, quindi.

( Marco Rossi Doria) Alcuni sosterranno che così si sta troppo dalla parte dei ragazzi. Ma non è così. Si è portatori di conoscenze ma sono loro che devono apprendere. La negoziazione è indispensabile. Non si sta venendo meno all'impegno didattico. In fondo è un trucco che va adoperato, abbassi la guardia, vai e stai dalla loro parte per creare quel minimo di regole perché si possa parlare dell'oggetto dell'apprendimento. Tutto questo nella scuola c'è sempre stato, ancor più oggi con i ragazzi che sanno giocare on line con le informazioni raccolte dappertutto."

Continua...